L’intervento di don Pier Luigi Ferrari
Inizio con un plauso a tutti. Ho visto solo ieri a mezzogiorno queste opere in fase di allestimento. Sono stato positivamente sor-preso e pervaso da due pensieri: da un lato la maestria della docente, la signora Marisa Bellini – la chiamiamo maestra nel signifi-cato più elevato del termine – dall’altro la capacità creativa degli artisti e i loro multiformi linguaggi espressivi.
Per l’opera della maestra mi ispiro a un passo dell’apostolo Paolo. Scrivendo ai Galati dice che il suo compito nei loro confronti è stato quello del pedagogo, colui che conduce alla meta il fanciullo o chi ancora è inesperto: Paolo dice che non è lui la meta, ma il vero approdo è Cristo. La prof. Marisa ha svolto l’opera del pedagogo. Lo ha fatto per insegnare “come si diventa pittori”. Questa mostra è uno specchio delle tecniche la lei insegnate e da voi acquisite: la coerenza nel disegno, la padronanza dei materiali, l’acquerello, le matite e i carboncini, i pastelli, la sanguigna, l’olio.
La mostra rivela anche come la maestra ha saputo valorizzare la passione e la dedizione di ciascuno, la voglia di imparare e di migliorare. Ora giustamente si compiace dei risultati. Pedagoga, abbiamo detto, ma per condurre dove? Io credo per guidare ad una soglia oltre la quale non serve più la maestra ma comincia la creatività personale, il coraggio di lanciarsi sulla tela vuota con la propria idea e basta. Si, perché l’arte figurativa non è semplice copia del vero. Emblematica è l’espressione iperbolica di Picasso: “A 12 anni sapevo disegnare come Raffaello, però ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino”. È la favolosa arte del bambino che ispira Picasso le dmoiselles d’Avignon o a Matisse la sua celebre Danza.
E ora diamo uno sguardo alle opere. Al di là delle singole differenze di carattere, personalità e sensibilità, è possibile indivi-duare alcuni punti comuni.
Innanzitutto appare evidente che que-sti quadri si allineano ai canoni dell’arte dell’ultimo secolo e mezzo. Figli del pro-prio tempo i nostri artisti di Uni.Crema assimilano le radicali trasformazioni che l’arte ha avuto in questi ultimi tempi: nelle tecniche, nello stile, nei materiali, nei conte-nuti. È un’arte che si permette una totale li-bertà di espressione, che la porta a infran-gere norme e confini stabiliti da secoli, su cui si è basata la pittura occidentale da Giotto a Tiepolo e, tramandati nelle botte-ghe o studiati nelle accademie. I lavori dei nostri artisti percorrono vie nuove, mettono in equilibrio soggetto, tecnica e poetica, con l’abilità di inventare e trasmettere concetti ed emozioni universali.
In secondo luogo nei temi svolti si legge una chiara emancipazione nei con-fronti della realtà oggettiva, anche questo frutto delle innovazioni radicali dell’ultimo secolo: i nostri artisti di Unicrema si svin-colano dall’obbligo di imitare la natura e rivendicano la possibilità di esprimere ciò che provano: alcuni quadri (pochi) fanno il verso all’Astrattismo, per molti invece la figura viene usata solo come richiamo simbolico e allusivo di altri messaggi o concetti, come fanno, per esempio, i Surrealisti e gli esponenti della Metafisica. In alcune di queste performances vedo serpeggiare il pensiero di Freud e in gene-rale della psicanalisi, capace mostrarci un universo parallelo a quello in cui viviamo, nascosto nei meandri oscuri della nostra psiche e della nostra immaginazione.
Un altro aspetto significativo che colgo dall’insieme dei quadri esposti è la nostra chiara appartenenza a un mondo globalizzato, alimentato dalla diffusione dei mass media: in questo mondo sempre più spalancato anche l’arte assume un lin-guaggio più universale, pur senza rinunciare ad essere attuale e personale, inserita in ciò che accade, con la capacità di comunicare un modo di stare al mondo e di raccontare la propria epoca. Permettetemi dire che osservando un quadro si può capire se l’autore è una persona informata, se legge, se studia, quali ambienti frequenta.
Un ultimo rilievo sul sacro. Negli ultimi due millenni il tema del sacro occupa una percentuale elevatissima dell’arte figurativa. Ma a partire dall’ultimo scorcio dell’800 il religioso è divenuto tra i bersagli preferiti dei militanti delle avanguardie, considerato scomodo residuo di una società borghese conservatrice, quando addirittura non si giunse a trovate iconoclaste sull’orlo della blasfemia; penso a Max Ernst “La vergine sculaccia il bambino(1926); Piss Christ un crocifisso immerso nell’urina di José Serrano (1987); La rana crocifissa di Kippenberger, (1990). In questo contesto vogliamo collocare le vignette anti islami-che, espressioni di immensa volgarità.
Non manca la controtendenza che tuttavia fatica ad avere visibilità e tanto meno ruolo sociale. In positivo non va dimenticato che alcuni grandi artisti non hanno rinunciato alla ricerca di Dio o almeno alla spiritualità e, pur nei modi innovativi della loro pittura, hanno affrontato il tema sacro sia pure spogliandolo di tutta la solennità e della potenza che aveva goduto in precedenza: Shagall trasfigura poeticamente personaggi e riti della sua religione ebraica; Matisse a Vence affresca la cappella dei domenicani dove esalta la pura “joie de vivre”; Mon-drian e Kandinskij, si sono ispirati ad una teosofia misticheggiante. Georges Rouault, nel suo stile ‘naïf, infonde intensità e umanità uniche al volto di Cristo nel suo Ecce Homo (1939-42); il futurista Gino Severini, che pure aveva abiurato alla fede cristiana, torna a credere e s’impegna sul fronte dell’arte religiosa dedicandosi alla decorazione di chiese progettando grandiosi affreschi.
Un mio desiderio. Io tutte le domeniche commento una pagina biblica. Perché qual-cuno non s’impegna a commentare una pagina mediante l’arte figurativa? Senza precipitare nel banale o nel kitsch.
Concludo riportando un passaggio del bellissimo appello che papa Paolo VI, nel giorno in cui si concludeva il Concilio Vaticano II ha rivolto agli artisti: «A voi tutti, artisti. Ricordatevi che siete i custodi della bellezza nel mondo: il quale ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, che resiste all’usura del tempo, che unisce le generazioni».
Grazie per il vostro pazientissimo ascolto.